Testimonianze critiche

Marina Neri

Luigi Plebani Madasco

Giannino Cascardo

Marcello Ballini

Gioacchino Gambirasio

" Lontano dalle oppressioni e dalle inquietudini della moderna civiltà del progresso e del materialismo, la pittura di Agnoletto da sempre propone alla nostra attenzione immagini che hanno il fascino delle tradizioni e delle antiche consuetudini, uomini e cose che pur non facendo ormai più parte della nostra quotidiana realtà restano cari e preziosi nei ricordi di ognuno di noi. La sua opera sa pertanto percorrere le vie più insinuate di ogni cuore e comunicare profondi messaggi di serenità e di sincero amore, con la semplicità che è delle cose e dei fenomeni più autentici e naturali. Semplicità e genuinità riscontrabili allo stesso modo in quello che è il suo intimo ideale estetico; la sua arte si rivela compiutamente, ogni volta, per quella che è, chiara, immediata , priva di oscure sovrastrutture concettuali e di astrusi simbolismi, libera e incondizionata, quasi istintiva rivelazione dello spirito e di uno stato d’animo sempre vivo nell’artista: un senso di sincero ottimismo, di profonda fiducia in un mondo ricondotto alle più naturali esigenze ed ai più nobili sentimenti umani.

Soggetti prediletti dell’artista sono sempre stati caratteristici scorci di una vita tanto comune quanto intima e ricca di quei valori che né il tempo né l’umanità riusciranno mai a cancellare o a sostituire; la grazia elegante e la vigoria impetuosa di quello che riteneva l’animale più nobile; personaggi del circo, maschere e ballerini dove sempre si mescolano la nobiltà d’animo e una profonda vena poetica in un alone di soffusa tristezza, illuminata però da quella speranza e da quella serenità che mantengono viva la fiducia in un futuro migliore; composizioni su temi sacri, espressione di una fede maturata e conquistata nell’arco di una vita che non è stata certamente avara di prove amare e difficoltà di ogni genere; figure di uomini e donne, di bambini colti negli atteggiamenti e nelle espressioni di più eloquente spontaneità; il suo modo di accostarsi ai propri personaggi è quello di uno stato d’animo che riassume e compenetra molti sentimenti, teso a metterne a nudo l’intima essenza ed il silenzioso dibattersi delle emozioni e dei sentimenti."

 

 

 

" Michele Agnoletto si è dedicato con amore e serietà all’insegnamento, ma questa attività non lo ha mai distolto dalla sua vocazione d’artista: ne sono conferma le diverse mostre personali e collettive, alle quali ha partecipato con successo. La sua preparazione di tecnica pittorica è assai valida: ha frequentato quattro anni di Accademia di Brera con ottimo esito, sotto la guida dell’indimenticabile maestro Aldo Carpi.

Non abbiamo dell’Agnoletto nessuna prova di incertezza iniziale e la sua arte nasce senza tentennamenti. Il calore umano della sua creazione artistica deriva dal contatto quotidiano con la realtà, dall’esperienza personale vissuta. Egli non cerca il nuovo ad ogni costo, perché sa che l’Arte, come ogni cosa umana, è continua evoluzione, ed il nuovo non può derivare che naturalmente dalla sincerità dell’espressione individuale e dei caratteri personali sempre rinnovatisi.

Agnoletto ha una visione unitaria, sicura, coerente nella creazione artistica: il disegno non è semplice esercitazione estetica, ma interpretazione chiara e schietta del vero; il colore, dalla nota calda e luminosa, acquista una intensità lirica che eleva e nobilita l’elemento trattato; nella scultura, sia a basso rilievo che nel tuttotondo, ad una rigorosa applicazione delle cognizioni tecnico-scientifiche, quali la prospettiva e l’anatomia, si accompagna lo stesso calore umano che ne ravviva l’espressione.

L’arte dell’Agnoletto è compresa da tutti perché il suo linguaggio è quello degli esseri sinceri che hanno un ideale chiaro, semplice e lineare."

 

 

 

A mio avviso due sono i principali filoni di ispirazione: la rivalutazione o, meglio, la testimonianza nei confronti di una umanità povera, provata da una vita stentata e difficile e, in contrapposizione, la partecipazione ad un mondo totalmente diverso, gioioso, spensierato come quello delle maschere e della danza.

Occorre rilevare però che, mentre il misero oppone un’ammirevole e serena compostezza alle traversie e quindi mai accasciandosi nella cupa rassegnazione, assumendo anzi un atteggiamento dinamico e quasi di sfida, di converso un velo di tristezza fascia maschere e ballerine, ammorbidisce lo scattante gesticolare e la sfrontata allegria di un Brighella o di un Arlecchino, fissa in fotogramma l’elegante piroetta della ballerina.

Sono temi suggeriti, forse, dal subconscio desiderio di accostare due mondi cari all’artista: quello raffinato e un po’ decadente della Venezia d’altri tempi e quello più rustico, ma certo più genuino e spontaneo della Bergamasca ancora agricola e piccolo artigiana: rievoca, per associazione di idee, quel mosaico di brani teatrali tratti da documenti rinascimentali, riproposti nella “Commedia degli Zanni”, proprio impostata sull’incontro dei due mondi.

Accanto a questi due temi altri se ne accostano, frutto di ispirazione ed intuizioni del momento, ed anche in essi Agnoletto profonde la sua intensa interiorità. Davanti ad un suo quadro si apprezza tra l’altro la compenetrazione dell’elemento paesaggistico e quello umano: nella scia di maestri d’altri secoli, Michele Agnoletto cesella su piani in profondità silhouettes di paesaggi, stende velature e sfuma case e tetti, pone in primo piano figure ricche di colore.

La caparbia, scrupolosa ricerca di perfezione nel disegno e nello studio della tavolozza hanno affinato la tecnica di Agnoletto, tale che oggi sembra facile e scontata, ma una attenta osservazione permetterà di scoprire il notevole equilibrio compositivo, la coordinazione dei gesti, il fattore luminoso che esalta curve e particolari, l’accostamento di tonalità che si sostengono l’un l’altra, come in un brano musicale le note hanno valore e motivo di esistere in quel particolare spazio temporale solo in funzione di note e silenzi che le precedono o le seguono.

 

Non rientra nella consuetudine che la presentazione di un artista venga compiuta da chi non gli sia maestro, né collega, né critico: Ma per Michele Agnoletto uomo della Scuola alla quale dedica il meglio di sé, può essere fatta un’eccezione. Come tale, infatti, egli si propone per questa “Personale”, nella stessa città, nella quale la sua ultima presentazione al pubblico risale al 1952.

Non si creda, tuttavia, che questi siano stati anni di minor attività; piuttosto, direi, di maggior ripensamento, di affinamento, di più compiuta attenzione a quel mondo che è motivo fra i maggiori della sua pittura: quello stesso della gente umile più a contatto con le crude avversità della vita, a fianco di quell’altro, d’argomento religioso, ch’egli non ha mai trascurato in tutta la sua carriera. Per l’uno e per l’altro l’ispirazione più diretta gli proviene proprio dalla sua diuturna esperienza scolastica: da qui, l’inscindibile legame fra ciò che dice e ciò che è, in compiuta coerenza d’uomo e d’artista; da qui il costante uso del mezzo espressivo, ch’egli ha sempre inteso come manifestazione sincera ed immediata di ciò che ha sempre sofferto, sentito e proposto.

Al pubblico ed alla critica, il libero giudizio su un artista, per il quale gran parte di coloro che ne osserveranno i lavori sono quelli stessi ch’egli ebbe, ed ha, fianco a fianco, nel sereno impegno scolastico di anni lontani e vicini.

 

Lavora troppo poco, questo Michele Agnoletto; o quanto meno si mostra troppo poco in pubblico, con la classe che ha. Ora, finalmente, ha riempito le pareti della “Simonetta” con un nutrito gruppo di opere che colmano gli occhi e il cuore di gioia e di stupore e che lo fanno perdonare per la troppo lunga assenza dalle scene della nostra e sua città.

D’altra parte , come si potrebbe tenere il broncio ad un artista eclettico e sincero che in tutte le sue opere – dagli oli alle sculture, dai disegni ai bassorilievi – non può fare a meno di inserire un po’ di se stesso , della sua interiorità, della sua poesia, e spesso, della sua sofferenza.

Perché il segreto di Michele Agnoletto è proprio questo: amare le opere che crea. Amarle come creature vive, godere delle loro gioie, soffrire dei loro dolori, vivere del loro respiro.

Perché le opere di Michele Agnoletto sono davvero creature vive, sincere, umane; creature che si staccano dalla pure perfetta tecnica esecutiva per librarsi in una atmosfera tutta loro di spiritualità e di magia, nella quale espandere il profumo di un sorriso, la dolcezza di uno sguardo, il mistero di un tramonto, la carezza di un sogno.

 

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